“CCSVI, a Long and Winding Road”.

Estratto da: “Nautilus” – TRIMESTRALE SCIENTIFICO DI PATOLOGIA VASCOLARE (Anno VIII – N. 1, 2014 – ISSN 1973-7564)

Esperienza personale in tre anni di lavoro diagnostico.

La CCSVI (Chronic Cerebro Spinal Venous Insufficiency) acronimo coniato, come noto, dal Prof. Paolo Zamboni, chirurgo vascolare dell’Università di Ferrara, è prepotentemente entrata nella cronaca medico-scientifica di tutto il mondo e va battagliando da almeno tre anni contro una importante schiera di detrattori, legati al dogma autoimmunitario della sclerosi multipla (SM).
Fino a qui nulla di particolare, la scienza ha sempre avuto schieramenti e soprattutto diversità di opinioni, spesso costruttive. In questo caso però la posta in gioco riguarda circa 65.000 persone affette da SM in Italia e qualche milione sparpagliate sul globo. La finalità pertanto sarebbe “nobile”, anzi la ricerca andrebbe persino incoraggiata, eppure non è proprio così.
Facciamo qualche passo indietro e cerchiamo allora di capire, in termini semplici, la cronologia della storia della CCSVI. Torniamo quindi al periodo compreso tra il fine del 2009 e metà del 2010 quando si è consumata la rottura tra il Prof. Zamboni e una forte maggioranza di neurologi che negano non solo la patologia, ma che di certo non facilitano la sua ricerca e valutazione. In breve, lo schieramento dei neurologi da anni si occupa, giustamente, della cura della malattia SM, mentre Zamboni sostiene poter aver individuato una delle cause della malattia SM, perciò non la cura di per sè.
La ricerca orientata verso la cura è ovviamente avvantaggiata dal fattore tempo (sono anni che ci si lavora) oltre alla non indifferente potenza economica, e farmaceutica, che la sostiene. La letteratura mondiale è inoltre molto ricca a favore della ricerca e dei risultati farmacologici mirati soprattutto ad inibire lo sviluppo della malattia e dei suoi micidiali danni. A dire il vero, per completezza di informazione, sono di recente usciti due articoli su riviste autorevoli che mettono persino in dubbio l’efficacia di queste terapie (1, 2).

Fig. 1 – Immagine eco-doppler con presenza di una stenosi giugulare per lembo anomalo

Fig. 2 – Immagine flebografica che evidenzia una stenosi della giugulare interna. Notare il sovraccarico di un circolo collaterale.

La teoria, sostenuta da Zamboni, riguarda una probabile causa ed è invece ostacolata in molti modi, ad iniziare dalla difficoltà nel reperire sia i fondi economici che il sostegno di specialisti neurologi che dovrebbero partecipare alla ricerca stessa.
Come nasce la “Teoria Zamboni” come viene comunemente chiamata dai Media e dal mondo medico scientifico in generale? The Big Idea, cioè la Grande Idea come la chiama Zamboni stesso, nasce tra il 2007 e 2008, periodo in cui è stata descritta l’anomalia del deflusso venoso cerebrale e midollare, determinante quindi una stasi venosa profonda (3). I vasi imputati a questa anomalia sono le vene giugulari interne, il plesso venoso vertebrale ed il sistema della vena azygos. In pratica, un ritardato deflusso venoso comporterebbe l’anomalo accumulo di emosiderina che si andrebbe a depositare anche sulle guaine mieliniche circostanti. Questo depositarsi di emosiderina, peraltro riscontrabile in sede di autopsia, determinerebbe il richiamo di macrofagi e reazioni autoimmunitarie che, a loro volta, porterebbero all’innesco delle reazioni di demielinizzazione e le conseguenti “placche”, in una specie di reazione a catena.
In realtà, già nel 1933 un anatomopatologo inglese, descrisse sul New England Journal of Medicine la presenza di anomale sedimentazioni di colore bruno scuro a livello del cervello e della materia grigia in generale (4). I rilievi di queste autopsie erano riscontrati su persone decedute giovani ed affette da disturbi definiti neuromotori.
Naturalmente, i mezzi diagnostici dell’epoca non erano tali da poter studiare a fondo ciò che era stato evidenziato, ma già allora si ipotizzava una possibile causa vascolare.

La “Teoria Zamboni” ha avuto il suo massimo picco di crescita e diffusione tra il 2010 e 2012 quando letteralmente tutti i malati di SM si sono affrettati a farsi esaminare le vene del collo e quindi, una volta ottenuta la diagnosi confermatoria delle anomalie venose, si sono impegnati nel cercare di sottoporsi ad angioplastica (PTA) delle giugulari interne e della vena azygos.
Inizialmente gli unici specialisti che si erano preparati per affrontare questa richiesta erano in Strutture all’estero, anche perché questo genere di PTA non era nemmeno contemplato in Italia. Assieme a risultati che apparivano molto incoraggianti, si verificarono purtroppo altri, dannosi, a seguito dell’impianto di stent, non certamente dedicati per questo tipo di impiego venoso.
Poi – e oserei dire per fortuna -, un gruppo di esperti medici italiani, soprattutto chirurghi vascolari e neuroradiologi interventisti, ha iniziato ad occuparsi del problema (considerandolo una “anomalia vascolare venosa”), lavorando bene in generale, sia col SSN che in totale regime di solvenza. Tuttavia non si è mai creato il presupposto per costruire una sorta di registro nazionale del lavoro svolto, né tantomeno furono stese linee guida su come comportarsi nella fase stessa dell’intervento oltre che nei giorni o settimane a seguire. Per dirla in breve, tutti molto bravi ed esperti tecnicamente, ma “autonomi”.
In questa situazione piuttosto confusa, gli oppositori della “Teoria” si sono compattati ed organizzati, allestendo uno studio, l’ormai noto CosMo, con esito: “non esistono rapporti tra alterazioni del flusso ematico dei vasi del collo, la cosiddetta CCSVI, e la sclerosi multipla”. A tale conclusione si è arrivati dopo 2 anni di lavoro, 1767 casi analizzati, 35 centri neurologici coinvolti nello studio, pubblicato sul Multiple Sclerosis Journal e finanziato da l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla-AISM con la sua Fondazione FISM, di fatto negando in toto la possibile correlazione della anomalia venosa con la patologia neurologica.
Risultati parsi, a dire il vero, poco credibili persino ai “meno esperti in materia”. Lo studio, che è andato alla ricerca della correlazione tra CCSVI e SM, ha rilevato che “il 97% delle persone con SM non ha la CCSVI.
Su un totale di 1165 persone con SM esaminate, nel 3,26% sono state rilevate all’esame doppler anomalie indicative di insufficienza venosa cerebrospinale cronica, ma le anomalie di flusso venoso sono state rilevate anche nel 2,13% dei controlli sani e nel 3,10% dei casi di persone con altre patologie neurologiche”.
Deve peraltro essere precisato che lo studio CosMo è nato a seguito di una divergenza di un progetto di ricerca che avrebbe dovuto vedere uniti sia Zamboni che AISM. La divergenza di diversi fattori interpretativi dell’esame diagnostico strumentale, cioè l’eco-doppler, ha comportato la rottura per lo studio congiunto e di fatto alimentato una diatriba che non ha certamente giovato, in primis, ai malati. A essere obiettivi fino in fondo, lo studio CosMo è stato portato avanti con grandi disponibilità economiche mentre il Prof. Zamboni ha deciso di intraprendere, tra mille ostacoli e minori risorse economiche, uno studio autonomo denominato Brave Dreams. Brave Dreams letteralmente significa SOGNI CORAGGIOSI, ma la sigla BRA.VE DR.E.A.M.S, è abbreviazione di BRAin VEnous DRainage Exploited Against Multiple Sclerosis, che, tradotta dall’inglese, significa “sfruttare il drenaggio venoso contro la sclerosi multipla”. Questo studio è multicentrico, prevede il reclutamento di 679 pazienti ed è in doppio cieco; infatti, confronta gli esiti di un intervento di flebografia con angioplastica venosa con un trattamento di controllo in cui viene effettuata solo la flebografia.
Nel frattempo, sono stati pubblicati in tutto il mondo articoli e studi che confermerebbero la Teoria Zamboni.
Questi lavori sono stati pubblicati su moltissime riviste scientifiche qualificate e comprendono anche metanalisi significative. La loro lettura è consigliata e se ne riporta una selezione. Semmai, il vero limite di alcuni di questi lavori è l’altissimo livello tecnologico impiegato, non facilmente comprensibile a tutti, anche a livello ministeriale.
Concludendo la cronistoria che riguarda il diffondersi della CCSVI, va segnalata la messa a punto di Zamboni sulle “fondamenta” per giungere alla diagnosi della anomalia, partendo proprio dallo studio eco-doppler (ECD) (5). Senza entrare nello specifico, piuttosto complesso, l’esame di per se è indaginoso sia per l’operatore che per il paziente e mediamente dura tra 40 a 50 minuti. L’apparecchio stesso richiede delle tarature particolari con l’obiettivo di valutare alcune situazioni
morfologiche dei vasi oltre alle condizioni flussimetriche.
Lo scopo – per dirla in termini semplici -, è di valutare parametri quali i diametri delle vene a
diversi livelli del collo, per comprensione topografica denominati J0, J1, J2 e J3 andando in senso caudocraniale, e anche valutare l’attività di lembi valvolari all’imbocco delle giugulari interne con i vasi sottostanti, ad esempio la giunzione brachiocefalica. All’interno delle giugulari stesse si possono inoltre individuare dei veri e propri “setti” che ostacolano il deflusso (Fig. 1). E non finisce qui, poiché le anomalie per il deflusso comportano naturalmente un sovraccarico di altri vasi che normalmente sono adibiti ad altri scopi. Pertanto, e non di rado, si riscontrano flussi
ematici anomali a carico delle vene della tiroide. Un significativo ruolo di compenso viene sostenuto dal circolo venoso vertebrale che si trova a dover sopperire all’insufficienza giugulare. Con effetto a catena, il sovraccarico del circolo venoso posteriore comporta anche un sovraccarico del sistema azygos che frequentemente non è in grado di accogliere questo surplus e tende a restituire ciò che non può drenare. L’azygos stessa spesso presenta delle anomalie morfologiche, che sono individuabili in maniera valida solo con la flebografia. Lo studio ECD però ci permette di quantificare il reflusso del plesso venoso vertebrale ed indirettamente avere informazioni del circolo dell’azygos.
Ora, tutte queste informazioni, descritte in termini volutamente semplici, sono raccolte due volte e cioè a paziente sdraiato e poi in posizione eretta, quindi in una doppia indagine. In entrambe le fasi dell’indagine il paziente partecipa attivamente, seguendo comandi specifici che generalmente sono degli esercizi respiratori di inspirazione ed espirazione lenta, ma che possono richiedere anche una fase di breve apnea, deglutizione, piccoli sospiri e persino sbadigli. In breve, gli atti respiratori hanno un ruolo fondamentale che non tutti i pazienti riescono a sostenere con la stessa capacità, proprio per alcuni impedimenti provocati dalla progressione della patologia.

L’esperienza personale
Sono passati tre anni da quando ho iniziato a studiare con ECD questa “anomalia venosa” e, dopo aver inizialmente eseguito 60 esami su pazienti non SM e quindi più di 1800 esami su malati di SM, con una ripartizione pressochè identica tra esami diagnostici e
controlli post- procedure.
Ora, volendo immaginare una situazione simile a quello che accade al sistema venoso profondo degli arti inferiori in una condizione di insufficienza venosa cronica ma trasportato ai vasi del collo, ci si potrebbe avvicinare a capire meglio la CCSVI.
Allora, pensando ai vasi del collo, come medici abitualmente ci poniamo il problema del sangue che deve entrare nella testa, ma poca attenzione è solitamente dedicata a quello che
esce dalla scatola cranica. Eppure viene logico pensare che questo meccanismo deve o dovrebbe essere in perfetta parità, tanto entra e tanto esce. Qui sta, in termini piuttosto semplificati, il nocciolo della questione: in una consistente percentuale di malati affetti da patologie neurologiche degenerative progressive, il bilancio è nettamente a sfavore della
corrente ematica in uscita (Fig. 2).

Tralasciando, per ovvia competenza, gli aspetti nettamente neurologici e concentrandoci su quelli vascolari, ci si potrebbe anche solo minimamente immaginare l’aspetto intra o peri- cranico in una situazione di scarso ritorno venoso. Si è visto, sia all’ECD prima, che con flebografie ed angio-RM poi, che il problema venoso è o può essere secondario ad una agenesia delle giugulari interne (ipoplasiche o persino mancanti), ma molto sovente dovuto a una disfunzione di lembi che regolano il meccanismo valvolare allo sbocco delle giugulari interne oppure a delle
stenosi vere e proprie. Questa condizione paradossalmente comporta spesso anomali reflussi del sangue in senso craniale, quindi contro corrente, e scarso ritorno verso il sistema cuore-polmoni e sovraccarico in vasi che svolgono circoli di compenso. Le anomalie possono cambiare anche con il variare della posizione del paziente.
Il vantaggio dell’indagine ECD è di permettere una valutazione “dinamica” della situazione con paziente sia sdraiato che seduto con manovre respiratorie che interagiscono direttamente con l’esame. Queste situazioni non sono così facilmente ottenibili con la flebografia
o angio-RM.
Di 1800 esami ECD eseguiti su malati di SM, circa la metà erano di controllo dopo che questi avevano eseguito, in completa autonomia, da una a tre PTA nei vasi del collo. I risultati di questi interventi di angioplastica sono disomogenei ed andrebbero analizzati avendo anche alcune nozioni neurologiche della SM e della classificazione EDSS (Expanded Disability Status Scale) (6). Tuttavia, e per semplicità, ho potuto verificare aspetti emodinamici veramente positivi nei malati che rientrano nella classificazione neurologica di “Recidivanti-Remittenti” con follow-up positivo e netti miglioramenti dei disturbi neurologici fino a 36 mesi dopo la PTA. Questi pazienti sono ancora nella scala EDSS con punteggio fino a 4,5-5,0 (EDSS =5: paziente non del tutto autonomo, con modeste limitazioni nell’attività completa quotidiana e deambulazione possibile, senza soste e senza aiuto, per circa 200 metri). I pazienti con una classificazione EDSS superiore e questo valore, secondo le mie personali valutazioni, e quindi già in una situazione
di malattia più severa e sovente definita come “progressiva”, hanno avuto sì dei benefici dall’angioplastica però di breve durata, in genere non oltre i tre mesi salvo qualche eccezione.
Tuttavia, a mio parere, anche la complessità dell’esameECD e la non facile interpretazione del referto stesso per gli operatori potrebbe avere in qualche modo influito negativamente. L’operatore deve essere messo in condizioni di capire dove sono le anomalie, e quindi andare a cercarle, ed in quali condizioni sono state fisicamente riscontrate (spesso con paziente seduto), magari difficilmente valutabili durante la flebografia (a paziente sdraiato).
I risultati degli ECD sono troppo spesso contrastanti tra loro. Purtroppo questo è un limite importante ad una osservazione frequente. Va ricordato come questo esame non sia puramente macchina-dipendente bensì in gran misura dipenda dall’operatore che si dovrebbe poi anche confrontare con lo specialista che eventualmente interverrà. Questo esame è “dinamico” e racchiude tante varianti che vanno dalla collaborazione del malato, la sua posizione, la postura
abituale durante la deambulazione e a riposo. La postura, infatti, e conseguenti movimenti compensatori di strutture muscolo tendinee, può giustificare per alcuni la riuscita di interventi mentre per altri no. Andare a dilatare una vena che è talvolta attanagliata da fibre tendinee o muscoli, ad esempio l’omoioideo, può risultare di scarsa soddisfazione. Tuttavia la classificazione EDSS ci può venire ancora una volta in aiuto: EDSS =6: il paziente necessita di assistenza saltuaria o costante da un lato (bastone, grucce) per percorrere 100 metri senza fermarsi. Appare qui chiaro che camminare con difficoltà, con ausili e magari problemi di equilibrio comporta necessariamente uno sforzo anomalo su una parte della muscolatura
del collo (“collo di tartaruga”). Gli specialisti vascolari, gli ortopedici ed i fisiatri che si sono da sempre occupati della “sindrome dello stretto toracico” sanno perfettamente di cosa si tratta. Anche se questa condizione non è così frequente, si deve mettere in conto l’eventualità. L’ECD pertanto assume una importanza ancora maggiore, specie se eseguita in maniera “dinamica”.
Persino un esame apparentemente “normale” può risultare totalmente diverso quando il paziente è esaminato nella sua posizione “abituale da seduto”, che probabilmente mantiene per diverse ore al giorno. L’esame di diagnosi per CCSVI diventa quindi, in alcuni casi, ancora più complicato poiché si potrebbero aggiungere delle manovre ulteriori a quelle, prevalentemente legate a fasi diverse del respiro, previste dal protocollo di Zamboni.

Ultima osservazione, ma di grande importanza, la CCSVI sta incontrando condizioni di positività in diverse altre patologie neurologiche progressive, e conseguenti risultati anche per alcuni di questi malati che sono stati trattati. Lavori in tal senso indirizzati stanno prendendo vita anche in queste realtà (7).
Concludendo, la CCSVI, ovvero questa anomalia vascolare, esiste davvero?
Personalmente sono convinto di sì, anche se è probabile che si tratti di patologia ancora più complessa e con maggiori varianti rispetto ai quadri con i quali siamo partiti tre anni fa.
Si raccomanda lo studio di metanalisi di Laupacis (8).
La strada è ancora lunga, ma molte cose sono state fatte e la diagnostica avrà sempre un suo ruolo significativo. Finché esisteranno le patologie vascolari dovranno esserci le condizioni ideali per curarle, senza preclusioni verso le terapie farmacologiche affiancandole eventualmente procedure interventistiche più o meno invasive. C’è ancora tanto da scoprire e fare, soprattutto sotto l’aspetto terapeutico che attualmente sta evidenziando in alcuni casi dei limiti, soprattutto
nelle forma classificate come “progressive”. Essere curiosi è fondamentale, scartare a priori limitante.

Summary
CCSVI (Chronic Cerebrovascular Venous Insufficiency) is still an open issue for discussion and is one topic that is still object of controversy. Easy to say, the discussion is open principally to have this pathology recognised as a reality, to give it a scientific identity. Quite obviously it is easier to demonstrate what is universally accepted rather than what is subject to demonstration. The latter is to accept, or not, anatomical and/or physical adverse conditions for venous outflow from the cephalic and spinal chord area and therefore approve eventual operations to correct the anomalies, according to their number and distribution. Still, things are moving and this because of results, which mean numbers.
Numbers are made of variables, the less the better and this is perhaps the weak side for CCSVI diagnosis and consequent results.
The diagnosis, as most experts know, is principally based on Ultrasound Duplex exams, where the dedicated machine is prepared on the purpose. The Physician diagnostician as well, is prepared for the specific exam that is carried out following Zamboni’s parameters, both in lying and sitting positions.
The weak ring of this imaginary chain are the patients; they are not all the same, like their disease – Multiple Sclerosis (MS)- that is under the highlights of this specific type of diagnostic exam. As a consequence also the results quite frequently are different.
This is a sort of cascade that necessarily cannot easily transform both the diagnostic exam, and the results into certainty. These affirmations are possible only because there is a personal heavy background made of numbers and a sufficient amount of time to grow these numbers. Moreover, a certain number of papers oppose CCSVI even if, and this too should be highlighted, most of these works have an elevated interest conflict rate. In time and with the conclusion of Zamboni’s “Brave Dreams” study, more exact information will be given on this pathology.

Bibliografia essenziale
1. Shirani A, Zhao Y, Karim ME, Evans C, Kingwell E et Al. Association between use of Interferon Beta and progression of disability in patients with relapsing-remitting multiple sclerosis. JAMA 2012;308:247-56.
2. Bermel RA, You X, Foulds P et Al. Predictors of long-term outcome in multiple sclerosis patients treated with interferon beta. Ann Neurol 2013;73:95-103.
3. Zamboni P. The big idea: iron-dependent inflammation in venous disease and proposed parallels in multiple sclerosis. J R Soc Med 2006;99:589-93.
4. Putnam TJ The Pathogegenesis of Multiple Sclerosis: A Possible Vascular Factor. N Engl J Med 1933; 209:786-90.
5. Bavera PM, Agus GB, Alpini D, Cecconi P, Guazzoni A, Tori A, Costantini E, Lupattelli T. Results from 823 consecutive Duplex exams for CCSVI in a Vascular Centre. Acta Phlebol 2012;13:141-8.
6. Kurtzke JF. Rating neurologic impairment in multiple sclerosis: an expanded disability status scale (EDSS). Neurology 1983; 33: 1444-52.
7. Alpini D, Bavera PM, Di Berardino F, Barozzi S, Cesarani A.Bilateral sudden sensorineural hearing loss and chronic venous cerebrospinal insufficiency: a case report. Phlebology 2013; 28:231-3.
8. Laupacis A, Lillie E, Dueck A, Straus S, Perrier L, Burton JM et Al. Association between chronic cerebrospinal venous insufficiency and multiple sclerosis: a meta-analysis. CMAJ 2011; 183:1203-12.