Inquadramento epidemiologico; Ictus Ischemico; Ictus emorragico.

Epidemiologia

L’infarto miocardico e l’ictus cerebrale sono le più note e temute manifestazioni cliniche della malattia aterosclerotica, situazione patologica considerata tipica del mondo occidentale e causata da molteplici fattori di rischio estremamente diffusi nella popolazione.
L’aterosclerosi è considerata una malattia sistemica multifocale che tende a progredire nel tempo, spesso a lungo asintomatica, che può dar luogo a sintomi e segni assai differenti tra loro, tardivamente rispetto alla sua insorgenza. Il termine di arteriosclerosi viene usato per la prima volta circa un secolo e mezzo fa da Lobstein che descrive arterie caratterizzate
da “indurimento” della parete. Marchand all’inizio del novecento conia la definizione di aterosclerosi, processo patologico che interessa le tonache intima e media di arterie di medio e grande calibro con formazione di placche focali, costituite da tessuto fibroso e materiale lipidico¹
L’aterosclerosi continua a rappresentare la principale causa di mortalità nei paesi industrializzati. Essa è inoltre una tra le
più importanti fonti di morbilità, invalidità ed ospedalizzazione con prospettive di incremento in futuro.
In Italia l’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causa il 10%-12% di tutti i
decessi, e rappresenta la principale causa d’invalidità.
Il tasso di prevalenza di ictus nella popolazione anziana italiana (età 65-84 anni)è del 6,5%, più alto negli uomini (7,4%)
rispetto alle donne (5,9%), ed aumenta progressivamente con l’età raggiungendo la massima frequenza in particolare negli ultra ottantacinquenni. Il 75% degli ictus si avviene in soggetti di oltre 65 anni.
L’ictus ischemico rappresenta la forma più frequente di evento ischemico cerebrale(80% circa), mentre le emorragie intraparenchimali riguardano il 15%-20% dei casi e le emorragie subaracnoidee circa il 3%.
L’ictus ischemico colpisce soggetti con età media superiore a 70 anni, più spesso uomini che donne; quello emorragico intraparenchimale colpisce soggetti meno anziani, con lieve prevalenza per il sesso maschile; l’emorragia subaracnoidea colpisce più spesso soggetti di sesso femminile, di mezza età.
Da dati epidemiologici del 2001 Ogni anno si verificano in Italia circa 196·000 ictus, di cui l’80% di nuova insorgenza, il 20% recidive.
E’ previsto un incremento dei casi nel prossimo futuro con una stima di un raddoppio dei decessi nel mondo entro il 2020²

Definizione di Ictus

Ictus

Ictus

L’ictus (stroke in inglese) è una condizione di malattia ad insorgenza acuta e può essere causato da una improvvisa ostruzione completa o parziale di un vaso arterioso cerebrale (ictus ischemico) o da un’emorragia cerebrale per la rottura del vaso colpito (ictus emorragico).
Quale ne sia la causa, nella zona di cervello interessata viene a mancare improvvisamente il flusso di sangue. La condizione di mancanza di perfusione che ne consegue comporta la ipoossigenazione del tessuto cerebrale con veloce sofferenza delle cellule nervose e perdita della loro funzionalità. Ne risulta così un deficit neurologico funzionale più o meno grave che può essere sia di tipo sensitivo che motorio.
L’Ictus ischemico
Denominato anche infarto cerebrale (il “colpo apoplettico” di antica definizione), è dovuto alla improvvisa interruzione del flusso ematico per chiusura di un’arteria che porta il sangue ad una zona del cervello. La chiusura dell’arteria può avvenire in modo improvviso, a causa di una embolia, coagulo o frammento di placca aterosclerotica che distaccandosi dalla sede di insorgenza e percorrendo l’albero vascolare raggiungono un ramo arterioso cerebrale, od ancora per un evento acuto su di una placca preesistente come una “rottura” della capsula endoteliale con attivazione di un processo trombotico sovrastante od una emorragia intraplacca. In entrambi questi ultimi due casi l’evento acuto comporta la crescita improvvisa della lesione di parete con incremento critico della stenosi vascolare.
Ictus emorragico
causato dalla rottura di un vaso cerebrale con conseguente interruzione della perfusione nell’area di tessuto interessato. Si può distinguere in intra od extra parenchimale. Nel primo caso può essere causato da ipertensione arteriosa, per patologie dei piccoli vasi, o da angiopatia amiloide. Ictus emorragici intraparenchimali possono essere secondari a malformazioni arterovenose, aneurismi, tumori, coagulopatie.
Le emorragie subaracnoidee sono dovute nella grande maggioranza dei casi a rottura di aneurismi, più raramente perimesencefaliche idiopatiche o a malformazioni vascolari.
Si possono inoltre osservare trasformazioni emorragiche di ictus ischemici, di tipo petecchiale da riperfusione tessutale da parte di collaterali od a tipo ematoma da riperfusione del vaso interessato.
Infarti lacunari
Interessano piccole arterie perforanti. La causa più frequente di infarto lacunare è la lipoialinosi della parete delle arterie , generalmente favorita da un’ipertensione arteriosa cronica. Rappresentano un quarto degli infarti cerebrali.
Infarto venoso
Si tratta di una condizione secondaria a trombosi delle vene cerebrali e dei seni venosi che comportano edema cerebrale sia da stasi per la ostruzione dei vasi che citotossico da ischemia secondaria, con ipertensione endocranica da ridotto riassorbimento di liquido cerebrospinale, che sfociano in una emorragia cerebrale di tipo petecchiale.

1) I fattori di rischio vascolare: solo arterie? Il ruolo della nutrizione e delle modifiche dello stile di vita nel loro controllo

Da anni siamo bombardati da informazioni circa l’esistenza ed il peso dei cosiddetti fattori di rischio nella determinazione delle malattie vascolari sia del versante arterioso che venoso. Ciò nonostante né il comportamento della popolazione né l’atteggiamento di parte dei Medici sembra tenere conto delle più recenti acquisizioni riguardo i provvedimenti di prevenzione primaria e secondaria delle malattie vascolari in senso lato. Che cosa si intende per prevenzione primaria? Si intendono con questa definizione tutti quei comportamenti o gli eventuali trattamenti farmacologici che possano in qualche maniera prevenire l’insorgenza di una malattia del sistema cardiovascolare in persone che ancora non abbiano sviluppato sintomi in questo senso ma che, secondo ormai ben note ricerche, appartengono a categorie a rischio. La prevenzione secondaria invece riguarda tutti quei pazienti che già abbiano sofferto di un evento vascolare nei quali si voglia ridurre l’eventualità di una recidiva o la comparsa di una diversa manifestazione della stessa malattia. Coscientemente si sono utilizzati i due termini diversi: persone per intendere soggetti per lo meno apparentemente sani, pazienti per chi invece abbia già manifestato la malattia.
Ma quali sono i cosiddetti fattori di rischio vascolare? Vedremo di elencarli considerandone inoltre la prevalente manifestazione arteriosa o venosa. Alcuni di essi sono insiti in caratteristiche non modificabili per ognuno di noi. L’aumento dell’età, il sesso maschile (sino all’età post-menopausale per il femminile), la familiarità per malattie vascolari e l’aver sofferto in passato di una di queste malattie, sono infatti dati di fatto sui quali non possiamo in assoluto intervenire, ma che possono rivestire importanza nel bilancio globale del rischio individuale.
Altre situazioni possono invece definirsi come acquisite durante la nostra vita e sono di conseguenza in qualche maniera controllabili e modificabili. Alcune di queste rappresentano delle vere e proprie manifestazioni patologiche come il Diabete Mellito, l’Ipertensione Arteriosa, le Dislipidemie (l’elevazione dei livelli di colesterolo e/o dei trigliceridi in alcune famiglie predisposte), le alterazioni della coagulazione del sangue. Altre sono conseguenza di errati comportamenti alimentari come il sovrappeso e la maggior parte delle dislipidemie o di pessime abitudini come il fumo di sigaretta od ancora della ridotta attività fisica o dell’eccesso di tensione nervosa quotidiana (il cosiddetto “stress”).
Spesso, purtroppo, in molte persone vi è concomitanza di più fattori di rischio e ciò non si limita a sommare semplicemente le probabilità di sviluppare malattia ma ne moltiplica la possibilità aumentandola in maniera esponenziale.
Sul versante arterioso il cuore ed in particolare le coronarie, che sono le arterie che forniscono il sangue al muscolo cardiaco, ed i grossi vasi come l’aorta, le carotidi, le arterie delle gambe sono i vasi maggiormente interessati dalla malattia vascolare. L’infarto, gli aneurismi dell’aorta toracica o addominale, l’ictus cerebrale, l’arteriopatia obliterante periferica (il dolore che colpisce i polpacci dopo poche decine di metri di cammino e che costringe a fermarsi)sono le manifestazioni patologiche più frequenti. I fattori di rischio che possono determinare queste patologie sono praticamente tutti quelli precedentemente elencati, del resto è proprio studiando queste malattie che sono stati individuati.
Sul versante venoso solo alcuni rivestono invece rilevante importanza. Tra quelli immodificabili abbiamo sicuramente la familiarità per malattie venose quali le varici od alcune manifestazioni di aumentata coagulabilità del sangue eredofamiliari. Mentre tra quelli acquisiti sicuramente annovereremo il sovrappeso, la mancanza di attività fisica e la stazione eretta prolungata, il fumo di sigaretta, la comparsa di particolari malattie che comportino la produzione di sostanze che aumentino la coagulabilità del sangue (alcune forme di Lupus)o l’eccesso di altre sostanze che ne favoriscano l’ipercoagulabilità (iperomocisteinemia). Nella donna è da considerare anche la gravidanza, anzi le gravidanze, come causa meccanica acquisita di malattie venose o come evento scatenante di patologie della coagulazione prima non evidenti. Le manifestazioni patologiche più frequenti sono appunto la varici, l’ulcera venosa, le trombosi venose superficiali e profonde.
Tutti noi siamo al corrente, a volte per esperienza personale, dell’esistenza di farmaci che, assunti regolarmente, possono far tornare nei limiti di norma alcuni dei parametri alterati dalle suddescritte eventualità. Ciò vale per la glicemia, il colesterolo, la pressione arteriosa ed altri. E’ anche ampiamente dimostrato che il ripristino di valori normali è correlato nel tempo ad una riduzione del rischio vascolare per quella determinata malattia. Ma l’opzione più intrigante è sicuramente rappresentata dalla possibilità di influenzare e ridurre molti di quei fattori di rischio in senso positivo solo con la modifica di alcune abitudini alimentari.
E’ infatti noto come alcune sostanze contenute nei cibi siano in grado di interferire nel processo aterosclerotico contrastandolo. Un esempio potrebbe essere rappresentato dalle cosiddette sostanze antiossidanti (Vitamina E, beta-carotene) che sarebbero in grado di inibire i “radicali liberi”, molecole alla base del danno dei tessuti vascolari e predisponente alla malattia vascolare. Purtroppo gli studi clinici condotti somministrando queste sostanze a popolazioni controllate hanno dato risultati contrastanti, ma il consiglio degli esperti è comunque di incrementare il consumo di cibi che le contengano (frutta, verdure, oli vegetali), non solo per contrastare l’aterosclerosi ma anche in funzione antineoplastica e, perché no, anti-invecchiamento. Il consumo di alcune vitamine del gruppo B e di acido folico inoltre riducendo l’omocisteinemia plasmatica diminuirebbe il rischio trombotico, mentre il consumo di grassi di tipo mono o poli insaturo (olio di oliva, oli di semi)è in grado da solo di ridurre i livelli di colesterolemia ma anche di aumentare il colesterolo HDL dalle note proprietà antiaterogene. In questo senso agirebbero anche il consumo di carboidrati (pane, pasta)ed il moderato consumo di alcool (vino).
Quanto descritto ha avuto anche la dimostrazione sul campo. Negli anni passati il controllo dell’alimentazione in comunità chiuse e controllate ha consentito di ottenere non solo la riduzione, peraltro non marcatissima, dei valori di alcuni parametri ematologici come il colesterolo, ma anche il controllo della pressione arteriosa e del sovrappeso, con riduzione significativa degli eventi sia in popolazioni sane che in prevenzione secondaria.
Un interessantissimo esempio è rappresentato dal “Progetto Martignacco” dal nome di un paese del Friuli-Venezia Giulia, dove nel corso di 15 anni è stato seguito un pressante programma di educazione alimentare che ha consentito di ottenere lusinghieri risultati sul controllo del colesterolo, della pressione arteriosa, della prevenzione degli eventi vascolari.
Non è sicuramente possibile in questa trattazione dare consigli pratici e dettagliati sui comportamenti alimentari da assumere, non è difficile del resto procurarsi tramite il proprio Medico o sulla stampa periodica specializzata schemi dietetici. Ritengo sia però fondamentale sottolineare che semplici modifiche della qualità dei cibi che abitualmente giungono sulle nostre tavole o della loro preparazione, senza costringerci a diete draconiane o monocordi, quindi pressoché impossibili da seguire, possono ragionevolmente influenzare favorevolmente la qualità, oltre che la quantità (che senza qualità probabilmente perde molto del suo fascino!), della vita futura, tenendo presente che le malattie vascolari spesso danno sintomi solo quando ormai la loro diffusione è tale da essere immodificabile.
Ponendo l’attenzione sulle malattie venose, posto che non è possibile influenzare la predisposizione genetica alle stesse o la presenza di alterazioni della coagulazione in senso pro-trombotico, si dovranno però sicuramente controllare il peso, obbligarsi all’attività fisica, anche il solo camminare, soprattutto per chi è costretto a stare in piedi a lungo e segnalare qualora se ne sia a conoscenza la familiarità per trombosi sia arteriosa che venosa, senza trascurare le cosiddette flebiti superficiali, in caso di interventi chirurgici o di prescrizioni di farmaci particolari (pillola anticoncezionale!), mentre sarà d’obbligo l’utilizzo delle apposite calze compressive in caso di gravidanza, soprattutto se ripetute o se in quella precedente fossero comparse varici³
La sindrome metabolica
La sindrome metabolica è una condizione clinica meritevole di particolari attenzioni per via della sua gravità e diffusione. Con questo termine non si indica una singola patologia ma un insieme di fattori predisponenti che, uniti insieme, collocano il soggetto in una fascia di rischio elevata per malattie come diabete, problemi cardiovascolari in genere e steatosi epatica (fegato grasso). Non si tratta quindi di una somma di malattie conclamate ma di situazioni ai limiti di normalità che sommate danno esito ad un netto incremento del rischio di sviluppare malattie vascolari.
Per poter parlare di sindrome metabolica devono essere presenti contemporaneamente almeno tre dei seguenti fattori di rischio:
Pressione arteriosa superiore a 130/85 mmHg
Trigliceridi ematici superiori a 150 mg/dl
Glicemia a digiuno superiore a 110 mg/dl (100 mg/dl secondo l’ADA)
Colesterolo HDL inferiore a 40 mg/dl nell’uomo o a 50 mg/dl nelle femmine
Circonferenza addominale superiore a 102 centimetri per i maschi o a 88 centimetri per le femmine

In base a tali parametri di riferimento, un soggetto affetto da sindrome metabolica potrebbe avere i singoli valori perfettamente nella norma. Ricordiamo infatti che:
– per poter parlare di ipertensione la pressione deve superare costantemente i 140/90 mmHg;
– nell’ipertrigliceridemia i trigliceridi ematici superano il valore limite di 200 mg/dl
– si può parlare di diabete se a digiuno la glicemia supera i 126 mmHg;
un valore di colesterolo HDL inferiore a 40 mg/dl o a 50 mg/dl (femmine) non è sufficiente, da solo, per collocare il paziente in una fascia di elevato rischio cardiovascolare;
se la circonferenza addominale supera i 102 o gli 88 centimetri (femmine) il soggetto è effettivamente in sovrappeso e la sua massa adiposa è concentrata soprattutto nella zona addominale (obesità androide o a mela).
La sindrome metabolica interessa quasi la metà degli adulti al di sopra dei 50-60 anni. Un’incidenza, questa, già di per sé allarmante, ma che verosimilmente crescerà nei prossimi anni sulla scia del dilagare dell’obesità infantile. Il fattore di rischio più importante è infatti IL SOVRAPPESO: tanto più questo è accentuato e tanto maggiori sono le probabilità di essere colpiti dalla sindrome metabolica. Un eccesso di grasso corporeo, soprattutto se concentrato nella regione addominale, porta ad uno squilibrio del metabolismo che ha come risultato finale l’iperinsulinemia (elevato livello di insulina nel sangue, indice di un’aumentata resistenza a questo ormone). Mentre nei casi più gravi questa situazione peggiora fino a causare in breve tempo la comparsa del diabete, in quelli più lievi si insatura una condizione plurifattoriale conosciuta come sindrome metabolica. Il riscontro di valori elevati di insulina nel sangue, a fronte di valori pressoché normali di glicemia, rappresenta un indice indiretto di tale condizione.
Il rischio di sviluppare la sindrome metabolica aumenta con l’età ed è quasi sempre una diretta conseguenza di stili di vita errati.
La sindrome metabolica predispone ad un maggior rischio di subire alcune malattie cardiovascolari, renali, oculari ed epatiche, da due a quattro volte superiore rispetto alle persone non affette.

2) Il rischio cardiovascolare globale e le tabelle del rischio vascolare

Nel 1949 è iniziato, nella cittadina di Framingham, Massachusetts (USA), uno studio di popolazione dagli obbiettivi ambiziosi: classificare ed analizzare i dati di migliaia di persone per scoprire se, ed in che misura, questo o quel fattore di rischio (come la pressione alta, il fumo di sigaretta ecc.) influenzassero lo sviluppo, magari dopo anni, di eventi cardiovascolari (infarto, angina, ictus). 
Dal 1949 al 1953 sono state esaminate più di 5000 persone di età compresa tra 35 e 65 anni alla ricerca di possibili fattori di rischio, ogni partecipante è stato classificato in base alla presenza particolari malattie (come il diabete) od abitudini (fumo di sigaretta, consumo di alcool ecc.). Sempre ad ognuno è stata misurata la pressione arteriosa ed effettuato un prelievo di sangue (per valutare i livelli plasmatici di numerose sostanze). 
L’osservazione e la registrazione degli eventi cardiovascolari intervenuti negli anni successivi sia nel primo che un un secondo gruppo di persone hanno consentito di elaborare formule in grado di calcolare il Rischio Assoluto di sviluppare una patologia coronarica partendo da pochi fattori noti (età, pressione arteriosa, fumo ecc.).
Negli anni ’90 i dati ‘congiunti’ del Framingham Heart Study e del Framingham Offspring Cohort hanno permesso di formulare previsioni per periodi variabili, fino ad un massimo di 12 anni in persone con età compresa tra i 30 e i 74 anni.
Anche sulla base di queste esperienze nel 2004 il Ministero della salute ha messo a punto e pubblicato le “carte del rischio vascolare” elaborate sulla scorta di osservazioni di coorte effettuata su differenti gruppi di popolazione italiana (fig 1).
Lo scopo era di identificare nell’ambito della popolazione generale le persone a più elevata probabilità di ammalare negli anni successivi. Il rischio globale assoluto si misura attraverso funzioni matematiche costruite sulla base di dati epidemiologici che consentono di stimare:
– il valore medio dei fattori di rischio nella popolazione
– i coefficienti dei fattori di rischio, fattori moltiplicativi che indicano il loro ruolo eziologico
– la probabilità della popolazione osservata di sopravvivere senza la malattia.

Il progetto “cuore” ha utilizzato otto fattori predisponenti allo sviluppo di malattia aterosclerotica in grado di far aumentare la possibilità di presentare un evento vascolare negli anni: età, sesso, diabete, fumo di sigaretta, pressione arteriosa sistolica, coleterolemia totale ed HDL, terapia anti-ipertensiva in atto.
Gli eventi presi in considerazione sono stati i casi di infarto del miocardio, Ictus, interventi di rivascolarizzazione e la morte improvvisa, monitorati tramite la ricerca dello stato in vita tramite le anagrafi comunali per la morte e le schede di dimissione ospedaliera per gli eventi clinici.
La costruzione della carta del rischio ha considerato il primo evento in persone in precedenza mai colpite da malattie vascolari, nella fascia di età 40 – 69 anni.
Le carte del rischio definiscono la probabilità di sviluppare un evento nei 10 anni successivi sulla base di sei fattori (età, sesso, diabete, fumo, ipertensione arteriosa e colesterolemia)La disponibilità di strumenti di questo genere consente di selezionare ed individuare nella popolazione a maggior rischio quelli che necessitano di un approccio maggiormente aggressivo sia dal punto di vista dell’intervento medico che educazionale4

3) La gestione del paziente vascolare: tra clinica e diagnostica ecografica

L’angiologo ed il chirurgo vascolare hanno l’indubbio, e pesante, privilegio di poter affrontare il malato vascolare un una fase pre-clinica quando l’eventuale lesione della parete del vaso non ha ancora dato manifestazioni patologiche, grazie alla possibilità di individuare il paziente “a rischio” e di studiarne l’albero vascolare con mezzi non invasivi, facilmente disponibili e di semplice uso anche durante la stessa visita del paziente.
Molte situazioni di aumentato rischio vascolare sono note ed individuabili con una semplice ma accurata anamnesi mirata.
Alcune come la familiarità per precedenti episodi cardiovascolari nella famiglia non sono purtroppo modificabili. L’incremento dell’età, che di per se comporta aumento di probabilità di sviluppo di complicanze vascolari, procede inesorabile, ma in molti altri casi sono non solo facilmente individuabili ma misurabili e modificabili.
Nel caso delle malattie che colpiscono le arterie si conoscono i danni che fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa, incremento dei valori di colesterolo, diabete, obesità, stress e sedentarietà possono sviluppare nel tempo. Ma fumo, sedentarietà ed obesità, oltre al numero di gravidanze nella donna, comportano anche rischio di sviluppare malattie venose croniche ed associate a ipomobilità od in occasione di eventi scatenanti acuti come malattie di ordine medico, chirurgia od ancora la stessa gravidanza possono essere alla base di un evento trombotico. Gli interventi chirurgici demolitivi sono anche la causa più frequente di linfedema secondario.
Questo elenco è forzatamente incompleto ma serve sicuramente ad aiutarci a comprendere come anche solo l’attento colloquio col paziente sia utile per classificarne il livello di rischio e come situazioni simili possono colpire indifferentemente arterie, vene, linfatici.
Sulla scorta di quanto descritto sono anche state sviluppate “carte del rischio” (vedi sopra) in grado di predire, ovviamente in maniera statistica e non con certezza per il singolo paziente, la probabilità di sviluppare una complicanza vascolare nel tempo, grazie alle quali decidere modifiche dello stile di vita, indagini, terapie.
Una volta individuato nel singolo paziente quali e quante siano le probabilità di sviluppare una malattia vascolare si deve procedere con il passo successivo che è rappresentato dalla visita medica.
Tempi ristretti, burocrazia, un po’ di disabitudine, hanno progressivamente ridotto attenzione e ricorso a questa fase indispensabile del rapporto medico-paziente.
Ispezione, palpazione ed auscultazione sono i momenti che ci consentono di verificare rispettivamente la comparsa di lesioni cutanee indicative di ischemia cronica (perdita od alterazione degli annessi cutanei -peli, anomalie delle unghie-), di stasi venosa (dilatazione delle vene attorno ai malleoli, comparsa di colorazione brunastra della cute nelle stesse sedi), di edema linfatico (cute pallida, consistenza aumentata) o suggestivo di trombosi venosa, di valutare la presenza dei polsi periferici e la loro validità o di reflussi venosi, la presenza di soffi vascolari (carotidei, aortici).
La visita deve essere fatta a paziente sia sdraiato che in piedi, in quanto in quest’ultima posizione il sistema venoso risulta più facilmente indagabile.
Un esempio di quanto anamnesi e visita medica possano già da sole orientare diagnosi ed eventualmente orientamento terapeutico si ha con la applicazione dello Score di Well’s per la sospetta Trombosi venosa profonda. La presenza di segni clinici specifici, di una anamnesi suggestiva per situazione a rischio e la conoscenza di tutte le cause alternative di tumefazione di un arto consente infatti di stabilire con buona probabilità la presenza della malattia e di guidare i successivi provvedimenti.
Gli esami strumentali sono il passo successivo e dovrebbero essere mirate e dirette dalle risultanze di anamnesi e visita medica. Purtroppo nel tempo si è affermata la convinzione che l’esame possa essere preliminare ad ogni altro approccio e questo fatto ha comportato una inutile ed eccessiva dilatazione delle richieste di esami, soprattutto Eco-Color-Doppler, molti dei quali non giustificati.
Lo specialista esperto già durante la visita e con l’ausilio di un semplice apparecchio Doppler portatile, riesce ad individuare e caratterizzare molte patologie potendo anche sulla base dei dati acquisiti impostare un trattamento terapeutico.
Come già accennato, l’esame principe per la valutazione delle malattie vascolari è l’eco-color-doppler coadiuvato, non secondariamente, dall’ecografia dei tessuti circostanti i vasi.
Per ogni patologia vi sono differenti approcci ed anche in questo caso l’esperienza del medico che effettua l’esame deve essere compendiata con le risultanze della storia clinica e dell’esame obiettivo.
Il paziente a rischio vascolare: le malattie delle arterie
La malattia aterosclerotica viene usualmente definita come patologia “ubiquitaria”. Colpisce cioè contemporaneamente più settori dell’albero vascolare.
La manifestazione più frequente è di tipo ostruttivo. All’interno dei vasi si formano delle placche che nel tempo tendono a ridurre il lume degli stessi, ostacolando il flusso del sangue. La superficie di queste placche è sottoposta in continuazione a sollecitazioni meccaniche da parte del flusso stesso di sangue, al loro interno si possono verificare eventi che ne destabilizzano la struttura od ancora a seguito di una lesione della superficie si possono scatenare reazioni di tipo coagulativo che possono occludere completamente ed improvvisamente l’arteria interessata.
La riduzione del lume comporta insufficiente irrorazione a valle in caso di necessità ed i corrispondenti clinici più noti sono l’angina da sforzo cardiaca e la claudicatio intermittens degli arti inferiori. Nel caso dell’ostruzione acuta l’infarto cardiaco e l’ictus cerebrale sono gli eventi più drammatici.
Nel caso dei vasi addominali la malattia vascolare più temibile è caratterizzata più che dalla riduzione del lume delle arterie dalla loro dilatazione. L’Aneurisma della Aorta Addominale ne è l’esempio più eclatante. Per una legge fisica gli aneurismi tendono a dilatarsi nel tempo e nel caso dell’aorta un diametro superiore a 5 cm viene considerato ad alto rischio di rottura spontanea.
L’essere portatori di una malattia vascolare, anche asintomatica, viene considerato un rischio equivalente all’aver già sofferto di un infarto cardiaco, al pari di avere alle carte del rischio una probabilità > al 20% o di essere diabetici!
Il ruolo del Medico e del Chirurgo che si occupi del Paziente vascolare in questi casi è individuare precocemente le lesioni della parete dei vasi e evitare per quanto possibile che queste divengano sintomatiche.
Ma quali pazienti sottoporre a screening per la malattia vascolare arteriosa periferica asintomatica?
A seconda della sede della ipotetica lesione le linee-guida danno indicazioni specifiche:
Per i vasi del collo (arterie carotidi e vertebrali), tutte le persone al di sopra dei 65 anni con almeno tre fattori di rischio noti.
Per le malattie che colpiscono gli arti inferiori (Arteriopatia Obliterante Periferica), prima dei 50 anni se diabetici con almeno un’altro fattore di rischio, tra 50 e 70 anni se fumatori o diabetici e tutti oltre i 70 anni. Le indagini sono indicate anche in caso di comparsa di sintomi tipici per claudicatio, di anomalie nella palpazione dei polsi durante la visita ed in caso di nota malattia vascolare in altri distretti.
Per l’aneurisma dell’aorta addominale, tutti i pazienti con storia familiare di aneurisma di età superiore a 60 anni e tutti i maschi con storia di fumo di età superiore a 65 anni
Il Paziente a rischio vascolare: le malattie delle Vene
Tutte le linee-guida riconoscono nell’Insufficienza Venosa un problema estremamente diffuso nella popolazione occidentale che giungerebbe a colpire sin al 50% della popolazione femminile ed il 30% della maschile.
Abbastanza recentemente è stata introdotta una distinzione tra:
– Disordine Venoso Cronico e
– Malattia Venosa Cronica

Nel primo caso si tratta di disturbi attribuibili ad un quadro di alterazione funzionale venosa, senza evidenza clinica di patologie eclatanti (sensazione di pesantezza, parestesie, gambe irrequiete, presenza di piccole dilatazioni di vene superficiali quali teleangiectasie e vene reticolari), nel secondo di alterazioni clinicamente rilevabili dal Medico durante la visita (vene varicose, edema venoso, alterazioni della cute come eczema venoso od aree di lipodermatosclerosi, ulcere venose).
Fortunatamente nel caso dei vari quadri clinici di insufficienza venosa la visita medica, eventualmente coadiuvata da uno studio con doppler portatile, è usualmente efficace per porre la diagnosi ed impostare un trattamento medico. Solo quando si pensi vi sia indicazione ad un approccio chirurgico vascolare e nei casi di presenza di lesioni cutanee, lo studio eco-color-doppler risulta essenziale.
La prevenzione dello sviluppo di Insufficienza venosa è essenzialmente basata sulla correzione degli stili di vita. Evitare la sedentarietà, il sovrappeso, la stazione eretta o seduta prolungate sono i provvedimenti più efficaci ed utili anche per la prevenzione delle malattie delle arterie.
Situazione differente nel sospetto di Trombosi Venosa. Le trombosi venose sono eventi improvvisi, in un certo qual senso violenti, ad esordio acuto e caratterizzati da uno stato di ipercoagulabilità che provoca la coagulazione del sangue in un tratto di vena. Del tutto recentemente si sono affermate teorie secondo le quali gli eventi trombotici, sia arteriosi che venosi, troverebbero nel danno endoteliale causato dall’infiammazione, a sua volta precipitata dalla azione di fattori di rischio comuni. (PRANDONI) Oltre al danno locale, la complicanza più temibile della Trombosi venosa è l’Embolia Polmonare, il distacco di una parte o dell’intero coagulo che percorrendo a ritroso l’intero albero venoso giunge al cuore destro e da qui i polmoni. L’embolia polmonare può essere fatale all’esordio.
É evidente quindi che la diagnosi di trombosi venosa deve essere tempestiva proprio per evitare questa complicanza.
Anche nel caso delle trombosi superficiali, per le quali la diagnosi può essere anche clinica, la conoscenza della estensione del trombo è fondamentale in quanto un interessamento dei vasi profondi cambia radicalmente l’approccio terapeutico.
Per queste ragioni le indicazioni riconosciute per un esame eco-color-doppler venoso sono:
– sospette trombosi venose superficiali e/o profonde
– quadri di insufficienza venosa avanzata (malattia venosa cronica con lesioni cutanee)
– valutazione pre-operatoria nella malattia varicosa
Il Paziente a rischio vascolare: le malattie dei Linfatici
I dati relativi alla diffusione del Linfedema in Italia e nel mondo non sono purtroppo recenti ma comunque impressionanti per i numeri. Dai risultati di uno studio epidemiologico nazionale condotto tra il 1997 ed il 1998, sono stati individuati 2743 nuovi casi di cui 1009 primari (36,8%) 1734 secondari (63,2%) e stimati 40.000 nuovi casi l’anno.
Alle nostre latitudini sono decisamente più frequenti i linfedemi post-chirurgici. Il Linfedema dell’arto superiore delle pazienti sottoposte a mastectomia è il più rappresentato.
I linfatico sono vasi che nascono a fondo cieco accanto al circolo capillare in tutto il nostro corpo e sono deputati a trasportare circa il 10% delle sostanze che devono ritornare al circolo generale. In caso di loro mancanza congenita, di asportazione chirurgica, di eccesso di carico di lavoro, la linfa tende ad accumularsi nell’arto interessato provocando un edema duro con progressiva fibrosi dei tessuti che lo rendono irreversibile. La colorazione della cute diviene pallida non per vera anemia ma per la fibrosi conseguente.
Anche in questo caso la diagnosi è clinica, l’edema duro non consente la plicabilità della cute e lo sviluppo lento e progressivo indirizzano il sospetto diagnostico.
La diagnosi strumentale si effettua con la Linfoscintigrafia , in grado di documentare la rallentata o mancata progressione della linfa.
L’eco-color-doppler serve solo a escludere una malattia venosa od arteriosa concomitante, mentre l’ecografia dei tessuti molli può documentare la fibrosi dei tessuti sottocutanei.
Non è possibile una vera e propria prevenzione del lifedema. Nel caso del linfedema post-chirurgia vi sono evidenza secondo le quali si svilupperebbe più frequentemente in persone predisposte per un ridotto numero di via linfatiche. Sono in corso esperienze che prevedono, nel caso della mastectomia, l’esecuzione di una linfoscintigrafia pre-operatoria per ridurne la probabilità di insorgenza mettendo in atto interventi meno invasivi.
Una volta che la malattia è esordita e diagnosticata è fondamentale una sua gestione attenta e corretta che preveda cicli di terapia decongestiva complessa (linfodrenaggio, compressione non elastica ed elastica, pressoterapia) praticati in centri specializzati, evitando il cosiddetto “nomadismo medico” alla ricerca di una soluzione non perseguibile.
Ictus Cerebrale e malattia vascolare: pensare solo alle arterie?
Come si è già esplicitato nella precedente trattazione l’Ictus Cerebrale è una malattia altamente invalidante i cui reliquati sono essi stessi causa di complicanze vascolari. Non a caso si è parlato poco sopra anche di trombosi venosa e linfedema. L’una e l’altra situazione non sono infrequenti in persone gravemente ipomobili a causa di malattie neurovascolari. In una nostra recente esperienza che ha coinvolto più di 500 pazienti costretti alla ipomobilità sia al domicilio che in Residenze sanitarie Assistite sono stati rilevati segni di pregressa/recente TVP nel 27% dei casi mentre in circa il 70% di questi erano presenti edemi declivi peraltro non direttamente correlabili con un sospetto clinico di TVP ma interpretabili come edema da disuso o secondari a patologie di base venose o veno-linfatiche. I livelli di D-Dimero, espressione della attivazione dei sistemi fibrinolitici, risultavano più elevati nei pazienti con segni di TVP e con edemi declivi.
Il paziente a rischio vascolare: gli esami strumentali
Eco-Color-Doppler dei Tronchi Sovraaortici e trans cranico. Indicazioni e modalità di esecuzione.
Si è già parlato delle indicazioni agli esami vascolari in caso di screening della malattia aterosclerotica in soggetti a rischio.
Il circolo arterioso afferente al cervello può essere studiato ecograficamente pressochè in tutta la sua estensione dall’arco aortico con l’eco-color-doppler transesofageo ai vasi del collo ed vasi intracranici con eco-color-doppler effettuato per via trans cutanea.

L’Eco color-doppler dei TSA trova indicazione, oltre che nello screening della malattia vascolare, anche in caso di TIA od ictus in fase acuta entro le prime ore per la valutazione della natura vascolare del disturbo, sia di pertinenza carotidea che vertebrale

Indicazioni all’ECD dei TSA
soffi cervicali
amaurosi fugace
ictus cerebrale acuto
TIA
Drop-attacks e sincope
vasculiti che coinvolgano arterie afferenti all’encefalo
masse pulsanti del collo
traumi del collo
follow-up delle stenosi carotidee
follow-up post TEA carotidea o stenting

Meno definite sono le indicazioni all’esecuzione di un eco-color-doppler transcranico, esame di non facile esecuzione e che necessita di esperienza dell’operatore oltre che di strumentazioni di alto livello. Le attuali indicazioni riconosciute in caso di pazienti con patologie carotidee od ictus sono:
La diagnosi di estensione intracranica della malattia vascolare aterosclerotica
La valutazione emodinamica delle conseguenze intracraniche di una patologia vascolare carotidea o vertebrale
La valutazione del circolo posteriore vertebro-basilare
la valutazione della riserva funzionale vascolare
Il monitoraggio intraoperatorio in caso di TEA o stenting
il monitoraggio della riperfusione in corso di fibrinolisi
il monitoraggio del microembolismo cerebrale (con doppler pulsato transcranico)
L’eco-color-doppler transesofageo viene effettuato facendo deglutire al paziente una sonda montata su di uno strumento del tutto simile ad un gastroscopio. La visione tramite la parete dell’esofago consente una migliore visione delle camere cardiache e lo studio dell’intero arco aortico, impossibile sia con l’ecocardiogramma transtoracico che con l’eco-doppler dei vasi del collo (o tronchi sovraaortici) 5,6

La principale indicazione nel caso del paziente con ictus è la ricerca di foci embolici non evidenziati da un esame dei vasi del collo o dalla presenza di alterazioni elettrocardiografiche:
dall’apice del ventricolo sinistro o da aneurismi
dalle valvole aortica o mitrale
dall’arco aortico
dall’atrio sinistro ed in particolare dall’auricola
da aneurismi del setto interatriale
da pervietà del forame ovale

4) LA PREVENZIONE PRIMARIA DELLO STROKE

Fattori di rischio non modificabili
Età: Il rischio di stroke aumenta con l’età. Mentre nelle decadi comprese tra i 25 ed i 44 anni è basso, raddoppia per ogni decade dopo i 55 anni.
Sesso: il sesso maschile è genericamente a maggior rischio di sviluppare un ictus cerebrale con l’eccezione della decade di età tra i 35 ed i 44 anni e > agli 85, nelle quali anche nel sesso femminile l’incidenza è elevata e correlabile nelle età giovanili alle terapie ormonali ed alla gravidanza e nella avanzata alla maggiore sopravvivenza media delle donne rispetto ai maschi.
Razza: ispanici e neri hanno un’incidenza di stroke, soprattutto emorragici, maggiore rispetto ai bianchi. Il dato sarebbe correlabile con la maggior frequenza di ipertensione e fattori di rischio aggiuntivi quali obesità e diabete.
Familiarità e fattori genetici: un’anamnesi positiva per stroke incrementa di circa il 40% il rischio individuale, analogamente a quanto avviene per altre situazioni quali ipertensione e diabete.
Le trombofilie incrementano il rischio cosi come malattie genetiche come la malattia di Fabry, la malattia di Marfan, alcune mutazioni del gene Notch3 (Cerebral autosomal dominant arteriopathy with subcortical
infarcts and leukoencephalopathy : CADASIL), ed alterazioni predisponenti allo sviluppo di aneurismi cerebrali (tipo la sindrome di Ehlers-Danlos tipo IV).
Fattori di rischio modificabili
Ipertensione Arteriosa: l’ipertensione è un fattore di rischio forte, continuo, graduato, consistente, indipendente, predittivo ed eziologicamente significativo per stroke sia ischemico che emorragico ed aumenta progressivamente con il livello di ipertensione.
Una modifica dello stile di vita ed una terapia farmacologica sono raccomandati sino da livelli medi di valori pressori non elevati (superiori a 140/90 mmHg ed ai 130/80 mmHg nei diabetici) e nell’ipertensione sistolica isolata nell’anziano(valori medi superiori a 160/90 mmHg). Diuretici tiazidici, ACE-inibitori e calcio-antagonisti, hanno singolarmente dimostrato efficacia nella riduzione del rischio, con indicazione a politerapia per valori pressori superiori a 160/100 mmHG.
Fumo di sigaretta: il fumo, anche passivo, raddoppia il rischio di sviluppare un ictus cerebrale sia di tipo ischemico che emorragico, soprattutto nelle età giovanili e potenzia gli effetti degli altri fattori di rischio. La cessazione del fumo ne riduce rapidamente gli effetti negativi su questi aspetti.
Diabete: il controllo glicemico da solo non ha dimostrato una sicura efficacia nella riduzione del rischio di ischemia cerebrale, quanto il controllo dei fattori di rischio frequentemente associati a questa situazione come l’ipertensione e la alterazione dei livelli di colesterolo e trigliceridi, le statine in particolare hanno dimostrato una riduzione del rischio di circa il 30%. L’aspirina in aggiunta alla terapia ipoglicemizzante ed al controllo di pressione e lipidi non ha dimostrato sicura ulteriore afficacia.
Dislipidemia: la riduzione dei livelli di colesterolo ed in particolare del colesterolo LDL riduce del 16% il rischio di stroke per ugni 10% di riduzione di LDL
Fibrillazione Atriale: la fibrillazione atriale è un fattore di rischio indipendente per stroke. La terapia anticoagulante orale con Warfarin e target INR compreso tra 2 e 3 è considerata il provvedimento più efficace. L’aggiunta di una terapia antiaggregante incrementa il rischio di emorragia cerebrale. Nei pazienti ad alto rischio emorragico od a basso rischio di stroke la terapia antiaggregante con aspirina a bassa dose può sostituire l’anticoagulante anche se con rischio di ischemia aumentato.
Stenosi Carotidea Asintomatica:la presenza di una stenosi carotidea asintomatica (superiore al 60% del diametro del lume, misurata con metodo NASCET (diametro della stenosi vs diametro della carotide interna a valle) misurata con metodo ecografico (> al 70% se valutata con angio-RM o radiologico), pone indicazione alla disostruzione c on metodica chirurgica od angioplastica in pazienti selezionati
Terapia ormonale sostitutiva: il rischio di stroke aumenta considerevolmente con l’uso di terapia ormonale post-menopausale. La terapia ormonale a basse dosi a scopo anticoncezionele è a basso rischio salvo la concomitante presenza di altri fattori predisponenti.
Dieta, sedentarietà, obesità: una dieta povera di sodio,ricca in vegetali ed a basso apporto di grassi riduce il rischio di accidenti vascolari cerebrali. Un’attività fisica continuativa (almeno 150 minuti la settimana) ed il controllo del peso riducono il rischio. Ogni 5Kg/m2 di incremento di BMI aumenta del 40% il rischio di mortalità per stroke.
Fattori di rischio meno documentati
Emicrania: l’emicrania con aura sembra incrementare il rischio nella popolazione femminile sotto i 55 anni di età
Sindrome Metabolica: i singoli fattori della sindrome metabolica incrementano di per se il rischio e devono essere adeguatamente trattati
Consumo di alcool: il consumo di alcool a dosi moderate, ed in particolare di vino, sembra avere effetto protettivo grazie ad un incremento dei livelli di colesterolo HDL, effetto antiaggregante piastrinico, riduzione dei livelli medi di fibrinogeno e aumento della sensibilità all’insulina e del metabolismo del glucosio.
Sindrome delle apnee notturne: la sleep apnea è correlata con la presenza di numerosi altri fattori di rischio ed in particolare ad ipertensione arteriosa. Il trattamento con CPAP contribuisce a ridurre i valori pressori e può ridurre il rischio cardiovascolare.
Iperomecisteinemia: l’iperomocisteinemia è correlata con un incremento del rischio di stroke ma la terapia sostitutiva con vitamine del complesso B e folati non ha dato risultati consistenti.
Trombofilie: la presenza di anticorpi antifosfolipidi è correlata ad aumento di trombosi arteriose. La pervietà del forame ovale potrebbe correlare con un maggior rischio in pazienti portatori di stati trombofilici.
Aspirina in prevenzione primaria: non vi sono evidenze per l’efficacia in prevenzione primaria dell’aspirina salvo che per persone con rischio cardiovascolare a 10 anni 6-10% o superiore.7

5) LA PREVENZIONE SECONDARIA DELLO STROKE

Controllo dei fattori di rischio
In circa un quarto dei pazienti che subiscono un evento ischemico cerebrale questo rappresenta una recidiva, il dato riguarda peraltro solo gli eventi conseguenti ad un precedente ictus, in quanto molti casi di TIA sfuggono alla osservazione anche a causa della scarsa durata e delle molteplicità delle possibili manifestazioni cliniche.
Un TIA è considerato predittivo di stroke (17% a 90 giorni)
La classificazione di TIA (attacco ischemico transitorio) prevede tutte quelle manifestazioni neurologiche di tipo focale cerebrale, spinale o retiniche di durata inferiore alle 24 ore, che non presentino segni di ischemia alle indagini strumentali mentre la classificazione di stroke si rifà alla localizzazione (grandi arterie extracerebrali od intracerebrali; piccole arterie) od alla causa scatenante (cardioembolia, trombofilia, da causa indeterminata).
Queste distinzioni non hanno peraltro grande rilevanza dal punto di vista dell’atteggiamento terapeutico, simile in entrambi i casi.
La prevenzione secondaria prevede la correzione più aggressiva di molte situazioni di rischio già affrontate nel capitolo relativo alla prevenzione primaria. L’approccio terapeutico non può peraltro prescindere dalla esecuzione di esami di base alla ricerca preliminare di cause ad alto rischio di recidiva come la fibrillazione atriale o la presenza di patologia stenotica carotidea.
Ipertensione arteriosa: il controllo dei valori pressori dovrebbe tendere ad ottenere valori “normali” di pressione con target < a 120/80 e comunque ad una riduzione media di almeno 10/5 mmHg. La scelta farmacologica andrà personalizzata. La associazione di un diuretico tiazidico ad un ACE-inibitore sembra rappresentare la associazione iniziale a maggiore efficacia.
Diabete: i diabetici hanno un rischio elevato di recidiva di ictus e TIA, ma la correzione intensiva dei valori glicemici non ha dimostrato sicura efficacia, mentre nel frequenta caso di associazione con ipertensione arteriosa viene raccomandato il controllo attento dei due parametri.
Dislipidemia: la riduzione dei livelli di Colesterolo LDL dovrebbe raggiungere valori ≤ a 100mg/dl, che si riducono a ≤ a 70 mg/dl in caso di concomitante malattia vascolare in altri distretti.
Fumo di sigaretta: interruzione dell’abitudine al fumo sia di tipo attivo che passivo
Consumo di alcool: il consumo moderato di alcool sembra svolgere azione protettiva, ma non deve essere stimolato nei non bevitori.
Obesità ed attività fisica: un indice di massa corporea > a 30Kg/m2
è considerato un fattore di rischio generico per malattia cardiovascolare. Un’attività fisica di 30 minuti al giorno è consigliata in tutti i pazienti che abbiano sofferto di ictus se non portatori di deficit motori, in caso contrario potrebbe essere considerata una attività motoria assistita da personale specializzato in riabilitazione.
Sindrome metabolica: come nel caso della prevenzione primaria dovranno essere affrontati e corretti i singoli fattori per la riduzione del rischio.
Strategie interventive
In caso di documentata stenosi carotidea > al 70% del lume (NASCET) l’indicazione a endoarteriectomia è riconosciuta e dovrebbe essere effettuata il più precocemente possibile. In caso di pazienti ad alto rischio operatorio può essere considerata in alternativa l’angioplastica con stenting.
Meno definita è l’indicazione ad intervenire in caso di stenosi comprese tra il 50 ed il 70% del lume, per la quale la valutazione del rischio/beneficio dovrà essere effettuata con attenzione.
Stenosi vertebrali: in caso di documentata stenosi vertebrale sintomatica la strategia di scelta è il trattamento medico ottimale (antiaggregante, statina, controllo pressorio…). Solo in caso di insuccesso documentato potranno essere prese in considerazione terapie invasive.
Stenosi di arterie intracraniche: anche in questo caso la terapia di scelta è quella medica.
Ictus cardioembolico: la causa più frequente di cardioembolia è la fibrillazione atriale ma si stima che circa il 20% degli stroke sia di origine cardioembolica anche se non esclusivamente causati da questa condizione. Altre situazioni a rischio sono considerate le miocardiopatie con frazione di eiezione < al 35%, le cardiopatie valvolari, le trombosi intracavitarie, le valvole meccaniche. La prevenzione secondaria per queste cause di ictus cerebrale si basa sulla terapia anticoagulante, allo stato il warfarin con target INR tra 2 e 3. In alternativa, per quei casi in cui vi sia controindicazione alla anticoagulazione, è consigliata la sostituzione con Aspirina. La aggiunta di aspirina al warfarin e l’utilizzo di doppia antiaggregazione espone ad un maggiore rischio emorragico.
Pervietà del Forame Ovale: questo difetto è molto diffuso nella popolazione generale (il 25% ne sarebbe portatore)ed assieme all’aneurisma del setto interatriale (decisamente più raro), è stato correlato con l’insorgenza di ictus cosiddetti “criptogenetici” (non spiegabili). Tra questi il 30% interverrebbero tra i portatori di PFO. Allo stato il trattamento antiaggregante sembra essere ancora l’atteggiamento più corretto per la prevenzione delle ricorrenze, riservando la applicazione di devices per via endovascolare per la sua obliterazione ai casi di recidiva nonostante adeguata terapia. In casi selezionati potrebbe essere presa in considerazione una terapia anticoagulante.
Trombosi venose cerebrali: il trattamento e la prevenzione secondaria di questi eventi è basato sulla precoce instaurazione di una terapia anticoagulante eventualmente seguita da antiaggregante.
La terapia antiaggregante nell’ictus non cardioembolico: l’aspirina rappresenta l’antiaggregante di scelta nella prevenzione secondaria dell’ictus non cardioembolico. Vaida alternativa è rappresentata dal Clopidogrel, ddi scelta in caso di allergia od intolleranza all’aspirina. Efficacia è stata dimostrata anche dalla ticlopidina (250 mg x 2 x bocca) e dalla associazione di aspirina e dipiridamolo, mentre aspirina più clopidogrel incrementerebbero in modo eccessivo il rischio emorragico (8).

DOMANDE

1) Nell’ictus ischemico:
– 
avviene uno spandimento di sangue nel tessuto cerebrale
– avviene uno spandimento cerebrale al di fuori del tessuto cerebrale
– 
avviene una improvvisa interruzione del flusso di sangue in un’area del tessuto cerebrale
– avviene una lenta e costante riduzione nel tempo della perfusione cerebrale

2) Nell’ictus emorragico:
– avviene uno spandimento di sangue nel tessuto cerebrale
– avviene una improvvisa interruzione del flusso di sangue in un’area del tessuto cerebrale
– avviene una lenta e costante riduzione nel tempo della perfusione cerebrale
– avviene in corso di un evento emorragico sistemico

3) L’aterosclerosi:
– 
colpisce arterie di piccolo calibro
– colpisce la tonaca avventizia di arterie di medio e grande calibro
– colpisce la tonaca intima e media di arterie di medio e grande calibro
– 
colpisce arterie di piccolo e di medio e grande calibro

4) Gli infarti lacunari:
– interessano arterie di piccolo e di medio e grande calibro
– interessano piccole arterie
– interessano piccole arterie perforanti
– interessano arterie extracraniche

5) La malattia aterosclerotica:
– colpisce sempre il distretto vascolare cerebrale
– colpisce sempre il distretto vascolare cardiaco
colpisce sempre il distretto vascolare degli arti inferiori
è una malattia ubiquitaria e può colpire uno o più distretti indifferentemente

6) I fattori di rischio:
– sono tutti immodificabili
– sono tutti modificabili
– sono tutti ereditari
– sono tutti predisponenti allo sviluppo di stroke

7) E’ un fattore di rischio immodificabile:
– l’obesità
– la familiarità
– 
la sedentarietà
– il fumo di sigaretta

8) E’ un fattore di rischio modificabile:
– la trombofilia
– l’età
– l’ipertensione arteriosa
– 
il sesso maschile

9) La concomitante presenza di fattori di rischio vascolari:
– in alcuni casi può essere protettiva
– in alcuni casi incrementa il rischio
– incrementa il rischio in maniera esponenziale
– assomma algebricamente il rischio di subire eventi

10) L’intervento sui fattori di rischio vascolare per la prevenzione primaria:
– 
è sempre ed in primo luogo farmacologico
– 
prevede sempre la associazione di più farmaci
– prevede sempre nella prima fase la correzione dello stile di vita
– prevede sempre la assunzione di un antiaggregante piastrinico

11) Le “carte del rischio”:
– elencano tutti i fattori di rischio vascolare
– elencano tutti i fattori di rischio vascolare regione per regione
– 
elencano i più diffusi fattori di rischio stimati per razza ed età
– consentono di calcolare il rischio di eventi vascolari a 10 anni

12) la sindrome metabolica è presente se sono rilevabili:
– tre fattori tra ipertensione, ipertrigliceridemia, elevati valori glicemici a digiuno, basso colesterolo HDL, incremento della circonferenza addominale
– 
due fattori tra ipertensione, ipertrigliceridemia, elevati valori glicemici a digiuno, basso colesterolo HDL, incremento della circonferenza addominale
– quattro fattori tra ipertensione, ipertrigliceridemia, elevati valori glicemici a digiuno, basso colesterolo HDL, incremento della circonferenza addominale
– tutti i fattori contemporaneamente

13) Tutti i pazienti che abbiano subito un TIA devono essere sottoposti a:
– TAC encefalo, Elettrocardiogramma, Eco-Color-Doppler TSA
TAC encefalo, Elettrocardiogramma, Eco-Color-Doppler TSA e Transcranico
– TAC encefalo, Elettrocardiogramma, Eco-Color-Doppler TSA e transcranico, ecocardiogramma transtoracico
– 
TAC encefalo, Elettrocardiogramma, Eco-Color-Doppler TSA e transcranico, ecocardiogramma transtoracico, ecocardiogramma transesofageo.

14) In prevenzione secondaria:
– la terapia antiaggregante piastrinica non è sempre indicata
– la terapia antiaggregante piastrinica è sempre indicata
– la terapia antiaggregante piastrinica deve sempre prevedere la doppia antiaggregazione
– in caso di associazione tra terapia anticoagulante e anticolagulante il rischio emorragico è aumentato

Rischio cardiovascolare a 10 anni in donne e uomini diabetici e non diabetici (fonte www.cuore.iss.it)

 

BIBLIOGRAFIA

1. C Rapezzi, P Gallo.L’Aterosclerosi: una malattia polidistrettuale. 2010 G Ital Cardiol; 11 (12 suppl 3): 43S-48S
2. Ictus cerebrale:linee guida italiane di prevenzione e trattamento. Sintesi e raccomandazioni. Stesura del 7 gennaio 2010
3. G Arpaia. Il paziente vascolare: come gestirlo. Ortopedici & Sanitari 2010; Settembre: 46
4. Il Progetto Cuore e le sue carte. La valutazione del rischio cardiovascolare assoluto. AIFA-Ministero della Salute. 2004; n°2: 57-63).Il Progetto Cuore e le sue carte. La valutazione del rischio cardiovascolare assoluto. AIFA-Ministero della Salute. 2004; n°2: 57-63).
5. 2010 ACCF/AHA Guideline for Assessment of Cardiovascular Risk in Asymptomatic Adults: Full Text: http://circ.ahajournals.org/cgi/reprint/CIR.0b013e3182051b4c
6. Procedure Operative per Indagini Diagnostiche vascolari: www.siapav.it; www.sidv.net
7. Guidelines for the Primary Prevention of Stroke: http://stroke.ahajournals.org/cgi/reprint/STR.0b013e3181fcb238
8. Guidelines for the Prevention of Stroke in Patients With Stroke or Transient Ischemic Attack: http://stroke.ahajournals.org/cgi/reprint/STR.0b013e3181f7d043